“…Addio. Se mai qualcuna o qualcuno leggerà questo scritto”. Si congeda dal mondo così Cloe Bianco, con un biglietto che immagina potrebbe anche non essere letto da nessun*…arriva più forte di un pugno nello stomaco tutta la solitudine a cui è stata condannata Cloe nella sua vita.

Cloe Bianco ha scelto la “libera morte” (come scriveva nel suo blog): il più drammatico gesto di autodeterminazione nei confronti di una sofferenza diventata intollerabile.

Cloe parla di sensibilità tra le pagine del suo sito, una sensibilità che nei suoi confronti non c’è stata e che l’ha portata a ritirarsi e isolarsi tra le mura mobili di una casa sulle ruote: “Tra le tante peculiarità fuori dal comune c’è quella d’essere una donna con un animo molto sensibile, molto grande, profondo, per ciò ch’è l’umanità. Una sensibilità acuta, profondissima, che ci vuol poco a ferirla, molto poco. Sono nata così.”

La scelta di darsi la morte è stata ponderata e curata. Cloe lascia poche righe nelle quali descrive ciò che ha preceduto la sua “libera morte”: un’ultima carezza data a sé stessa tra buon cibo e buona musica.

Il suicidio di Cloe, più che parlarci di lei, parla di noi tutt*, della società che siamo che anche oggi, ancora, per l’ennesima volta, deve (eh si deve!) interrogarsi sul ruolo che ha svolto nella vita della Professoressa Bianco, deve chiedersi che peso ha avuto nell’estrema di espressione della sua sofferenza generata da transfobia, isolamento e depressione.

Se da una parte possiamo vedere il suicidio come la forma più diretta di attacco al corpo, di distruzione di oggetti interni, dall’altra non possiamo non considerare la valenza comunicativa e la relazione che ha con gli altri (cioè ancora noi).

E siamo stat* noi a tradire le speranze per il futuro di Cloe, noi che abbiamo emarginato professionalmente questa donna allontanandola dall’insegnamento, dalla vita coi suoi studenti, dal suo lavoro e dalla sua dignità.

Eccola qui una rappresentante della potentissima “lobby Lgbt” di cui alcun* straparlano: una persona costretta a uccidersi perché nemmeno accettata come essere umano. Cloe era una donna trans emarginata perché trans.

Le ricordiamo le parole dell’assessore regionale all’istruzione Elena Donazzan che aveva commentato il coming out della professoressa,  parlando di una «carnevalata»,  «Ma davvero – aggiunse – la scuola si è ridotta così?».

Molti studi ci dicono che il suicidio tra le persone LGBT+ è la prima causa di morte.

Se ci fosse stata una legge a tutela delle persone LGBT+, se il DDL Zan fosse stato approvato sarebbe un mondo più giusto? Se si concretizzasse la proposta di legge dell’On. Romaniello sulla prevenzione al suicidio, si salverebbero delle vite?

E’ importante parlare di suicidio, fare prevenzione, non banalizzare o sottovalutare mai qualcun* che soffre e che vede solo il buio davanti a sé. È fondamentale che ci sia una legge a tutela delle persone LGBT+. Rompiamo il tabù e lo stigma e parliamo della sofferenza che una società intollerante genera. Parliamo di Cloe e di come il suo dolore fosse diventato così ingestibile, così grande, tanto da cercare la libertà negatale in vita, nella morte.

Ci piacerebbe che ci fosse più di qualcuno o qualcuna a leggere l’ultimo messaggio di Cloe, che riportiamo qui sotto.

“Autochiria di Cloe. Oggi il mio finire e perciò la fine di tutto.

Oggi la mia libera morte, così tutto termina di ciò che mi riguarda. Subito dopo la pubblicazione di questo comunicato porrò in essere la mia autochiria, ancor più definibile come la mia libera morte. In quest’ultimo giorno ho festeggiato con un pasto sfizioso e ottimi nettari di Bacco, gustando per l’ultima volta vini e cibi che mi piacciono. Questa semplice festa della fine della mia vita è stata accompagnata dall’ascolto di buona musica nella mia piccola casa con le ruote, dove ora rimarrò. Ciò è il modo più aulico per vivere al meglio la mia vita e concluderla con lo stesso stile. Qui finisce tutto.

Addio. Se mai qualcuna o qualcuno leggerà questo scritto”.

Possa Cloe avere pace.

Se hai bisogno di aiuto o conosci qualcuno che potrebbe averne bisogno, ricordati che esiste Telefono amico Italia (02 23272327), un servizio di ascolto attivo ogni giorno dalle 10 alle 24 da contattare in caso di solitudine, angoscia, tristezza, sconforto e rabbia. Per ricevere aiuto si può chiamare anche il 112, numero unico di emergenza o se stai pensando al suicidio, puoi contattare i volontari della onlus Samaritans allo 06 77208977 (operativi tutti i giorni dalle ore 13 alle 22).

Riordiamo anche la nostra Linea Amica Trans 377 7079633 e il servizio Sportello Trans https://sportellotrans.alamilano.org/